GoGoBus, 130mila euro alla startup di social bus sharing

GoGoBus

Da due giorni si parla solo di megabus.com ma nel settore c’è anche una startup italiana che si sta facendo valere e che ha da poco concluso un round di finanziamento da 130mila euro. Stiamo parlando di GoGoBus una piattaforma dove le persone che vogliono arrivare nella stessa destinazione possono accordarsi per viaggiare assieme: al raggiungimento di una soglia minima la startup organizza il viaggio con operatori convenzionati.

gogobus“Il funzionamento della piattaforma (sito web e app) è molto semplice – spiega il Ceo di GoGoBus Alessandro Zocca – un utente cerca una destinazione e la condivide sui suoi canali social in modo che chi vuole aggregarsi per il viaggio in pullman possa farlo subito. Se non la trova ovviamente può proporla”

“Al raggiungimento della trentesima prenotazione la partenza viene confermata e GoGoBus conferisce l’incarico a un’azienda di autonoleggio convenzionata – continua Alessandro – Se il pullman si riempie ogni persona può risparmiare fino al 40% rispetto al prezzo iniziale. In questo modo sa che il costo sarà via via inferiore, non subirà rialzi e non aumenterà all’avvicinarsi della data di partenza come avviene spesso per treni e aerei.”

GoGoBus rappresenta un’alternativa per muoversi a basso costo, in modo sicuro, flessibile, abbracciando anche la comodità: “Pensiamo, ad esempio, all’opportunità di poter portare con sé un numero maggiore di bagagli rispetto ad altre tipologie di viaggio, come quella del ride sharing”.

Un nuovo modo di viaggiare

“Ci ispiriamo al modello delle compagnie aree low cost, che hanno reso possibile per molte persone la prenotazione di voli aerei che precedentemente non prendevano in considerazione – continua Alessandro – Noi rappresentiamo una realtà che si affianca alle altre modalità di trasporto e vogliamo dare semplicemente una soluzione in più, per permettere alle persone di avere più possibilità di scelta e di poter sperimentare anche un nuovo modo di viaggiare e di organizzare un viaggio, vivendo un’esperienza che si concentra molto anche sull’aspetto legato alla condivisione. Quest’ultimo elemento è importante non solo dal punto di vista “sociale”, ma anche per quanto riguarda il lato economico: il costo del noleggio, infatti, si divide tra i partecipanti e quindi il prezzo che paga il singolo viaggiatore diminuirà all’aumentare del numero di passeggeri.

Inoltre, abbiamo avuto modo di studiare anche modelli di bus sharing sviluppati a Singapore o in Egitto, e si tratta di realtà che funzionano e che rappresentano delle valide alternative nell’ambito della mobilità.”.

Un finanziamento da 130mila euro e uno sguardo all’Europa

Dalla costruzione del team (che vede come CTO Emanuele Gaspari (31 anni), ingegnere informatico, e Stefano Romagna (29 anni), laureando in Marketing Digitale, nel ruolo di responsabile della Comunicazione), alla prima fase di test conclusa positivamente tra dicembre e gennaio, fino al raggiungimento di un primo round di finanziamento da 130mila euro: il percorso di GoGoBus ha avuto inizio nel 2014 con lo sviluppo della piattaforma e con la creazione di una rete di fornitori certificati. Oggi, l’azienda lancia il suo servizio in Italia e non nega di osservare anche gli altri Paesi europei per pianificare il primo passo in questa direzione: “Vogliamo sottolineare, inoltre, che il mercato in cui andiamo a operare in Italia conta 2 miliardi di fatturato (da fonte Anav) e sono 7 milioni le persone che prendono il pullman nel nostro Paese (il 47% dei quali per fini turistici): noi, con GoGoBus vogliamo cercare di dare il nostro contributo per ampliare la base di utenza, guardando anche all’Europa (che in questo mercato registra 15miliardi di fatturato).”

Sicurezza, condivisione e flessibilità: sono questi i punti fondamentali su cui si fonda il progetto. “Si tratta di una soluzione completamente legale e sicura. Ci rivolgiamo, infatti, ad aziende di autonoleggio autorizzate e certificate, dove i guidatori sono autisti professionisti e siamo a nostra volta assicurati”.
A ulteriore riprova che sharing economy non è sinonimo di illegalità.