Scandalo LuxLeaks: elusione di stato. Anche nel turismo

Bufera sul 12° presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker a causa dell'inchiesta LuxLeaks.

Ci si continua a scandalizzare del fatto che le aziende over the top tecnologiche multinazionali, spesso statunitensi, non paghino le dovute tasse nei paesi dove operano, facendo così una concorrenza sleale alle realtà locali, come ha correttamente ricordato anche Luca Battifora, presidente Astoi nonché ceo di Hotelplan Italia, durante il convegno di presentazione dell’osservatorio digitale del turismo del Politecnico di Milano tenutosi durante l’ultimo TTGIncontri. Poi però eleggiamo a presidente della commissione UE l’ex-premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, un paese, il suo , dove la trasparenza finanziaria non è mai stata una “priorità dell’esecutivo”.

E proprio pochi giorni dopo il suo insediamento sullo scranno di Bruxelles, ecco uscito lo scandalo LuxLeaks, dove si vede come il Lussemburgo, stato tra i fondatori dell’Ue, abbia favorito almeno 340 grandi aziende dal lato fiscale. Tra cui molte anche in ambito turistico. L’accordo sottobanco tra lo stato lussemburghese e queste aziende ha permesso loro di risparmiare centinaia di milioni di euro di imposte.

Nelle carte si leggono i nomi della catena alberghiera statunitense Starwood, della società cinese HNA, che controlla diverse compagnie aeree tra cui la Hainan Airlines ed è azionista della Aigle Azur, del gruppo Rothschild, proprietario del marchio QCNS Cruise e di alcuni alberghi, del gruppo Edmond de Rothschild, con investimenti in Voyageurs du Monde, Fastbooking e nel gruppo Marietton. Nella lista anche il fondo di Abu Dhabi Investment Authority, che ha una filiale specializzata negli investimenti turistici, la Tourism Development & Investment Company, nonché l’Hutchison Group, che gestisce hotel in Cina e Hong Kong con il marchio Harbour Plaza Hotels and Resorts, nonché strutture come lo Château di Berna, che controlla anche un hotel a Lorgues, nel Sud della FRancia, o la United Technologies Corporation, che possiede i colossi Pratt & Whitne, Hamilton Sundstrand e Sikorsky.

Nelle 28 mila pagine dell’inchiesta durata sei mesi si sottolinea il ruolo attivo del Lussemburgo, e dei suoi vertici, in collaborazione con PricewaterhouseCoopers, per sottrarre milioni di euro di imponibili fiscali a diversi stati, tra cui molti suoi partner nell’Ue. Insomma con Juncker non c’è stata una grande risposta a tutti quegli Euroscettici che minano le basi del più “grande mercato” al mondo, come dice anche una pubblicità televisiva che incensa la “collaborazione” tra stati nell’Ue. Un percorso che, dal lato fiscale, come abbiamo visto, ha ancora tanta strada da percorrere.