Barcellona dice no al turismo di massa e sì ai rifugiati. Dopo la manifestazione che solo tre settimane fa reclamava il diritto a riconquistare le proprie strade contro la “turistificación”, qualche giorno fa la piazza catalana ha spalancato le braccia ai derelitti del mondo, in nome del rispetto degli impegni presi dal governo di Madrid. Se da un lato Barcellona si chiude verso i turisti in arrivo dalla ricca Europa, magari su volo low-cost, dall’altro si apre quindi alla solidarietà.
Migliaia di persone non ci stanno agli affitti sempre più cari, gli antichi caffè sfrattati per far posto ai megastore dell’abbigliamento, i ristoranti specializzati in paella de-congelata e la sangria annacquata. I motivi per ribellarsi sono tanti e diversi, dalla costruzione dell’ennesimo hotel di lusso alla difesa del mercato di quartiere. Ma il nemico comune è “l’invasione guiri”, come sono chiamati in Spagna i turisti.
La voglia di marcare la propria differenza da Madrid, riferisce Il Corriere della Sera, è un’attitudine storica di Barcellona, dalla guerra civile degli anni ’30 al recente referendum separatista. E la sindaca Ada Colau è soddisfatta. L’ex attivista anti-sfratti, alleata di Sinistra Unita e Podemos si è infatti promossa paladina di entrambe le battaglie. “È molto importante che in un’Europa incerta dove cresce la xenofobia, Barcellona diventi la capitale della speranza”, dichiara Colau durante la manifestazione pro-rifugiati. E con parole altrettanto decise dichiara guerra al turismo selvaggio. Dopo aver imposto uno stop a nuovi hotel in centro (in città ne aprono 10-12 all’anno), il Comune sta infatti studiando un sostanzioso aumento delle imposte per i cittadini temporanei, quei 34 milioni di turisti (contro 1,6 milioni di cittadini permanenti) che ogni anno scelgono di visitare Sagrada Familia e Palazzo Güell. Barcellona, insomma, non sarà una nuova Venezia, e chiede di aprire le frontiere ai 17.337 profughi che aspettano di entrare.