Secondo dati dell’Ente per il turismo e la cultura di Abu Dhabi, il ‘turismo halal’, cioè quello generato dai musulmani osservanti, cresce del 6% all’anno, quindi con un tasso di incremento che è quasi il doppio dell’industria turistica mondiale.
A confortare l’impressione della crescita anche i dati contenuti nel report 2014-2015 sullo Stato dell’economia islamica globale, realizzato dal centro studi Thomson Reuters. In base a questa ricerca, nel 2013 il mercato del turismo halal valeva in totale 140 miliardi di dollari (ma è una cifra ottenuta per difetto, visto che non tiene conto dell’indotto derivante dai due pellegrinaggi annuali alla Mecca, che da soli valgono altri 16 miliardi), ma le previsioni sono di arrivare a 238 miliardi di dollari nel 2019. Secondo l’ultimo Global Muslim Travel Index, un indice redatto ad hoc da CrescentRating in collaborazione con Mastercard, la destinazione preferita dai musulmani osservanti è la Malesia. In base a quanto riportato sul sito, la “tendenza halal” in Malesia è dilagante: dal cibo (a cui la parola viene riferita in origine, per indicarne l’adeguatezza) alle banche, allo stile di vita e per finire alle cure mediche. Al secondo posto per offerta muslim-friendly c’è poi la Turchia, pioniera vent’anni fa nel rivolgersi a questo target. Sulla sola costa ci sono quasi 70 tra stabilimenti e villaggi turistici in cui uomini e donne frequentano spiagge e piscine separate, il cibo è rigorosamente halal e i codici di condotta sono completamente in linea con i precetti islamici.
Anno dopo anno, sono sempre di più i Paesi che hanno fiutato l’affare: anche il Nord Africa Giappone, Singapore e Taiwan si stanno attrezzando