Negli aeroporti cresce l’impiego della tecnologia di riconoscimento facciale e diminuiscono le file. Sono infatti sempre di più gli scali che iniziano a introdurre il sistema che scansiona i volti, li confronta con le foto del passaporto elettronico e consente ai passeggeri di saltare la fila. A Tokyo, ad esempio, dal 2014 il governo sta sperimentando questo sistema in due aeroporti, con l’obiettivo di introdurre la procedura a pieno regime con le Olimpiadi nel 2020.
In Francia il gruppo Adp, che gestisce l’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, ha invece cominciato a sperimentare un software simile a febbraio di quest’anno, perché dopo l’introduzione delle nuove misure di sicurezza dopo gli attacchi terroristici del 2015 le file in aeroporto sono raddoppiate.
E ancora, in Canada è in programma la sperimentazione di postazioni per il riconoscimento facciale a partire da questa primavera, mentre test simili sono stati annunciati anche all’aeroporto Schiphol di Amsterdam.
È però l’Australia, si legge sul blog Gulliver dell’Economist, ad avere il progetto più ambizioso: nel 2015 il governo ha svelato l’iniziativa Viaggiatore senza interruzioni, che ha l’obiettivo di automatizzare il 90 % delle procedure per l’identificazione dei passeggeri entro il 2020.
La tecnologia per il riconoscimento facciale però non è del tutto infallibile. Inoltre, se può confermare l’identità dei passeggeri non può esaminare i bagagli. C’è poi la questione della riservatezza. I passeggeri devono dare per scontato che una ulteriore quantità di dati che li riguarda sia raccolta e condivisa tra aeroporti, compagnie aeree e funzionari dell’immigrazione.
Ancora una volta nell’era dei big data, la privacy potrebbe essere il prezzo da pagare per una maggiore comodità.