Surplace. Come in una gara di inseguimento su pista di ciclismo. Solo che tra i contendenti c’è chi va in Ferrari, gli arabi di Etihad naturalmente, contro chi, Alitalia, può far gara solo in bicicletta. Destinati quindi a perdere. L’offerta di Etihad, da lacrime e sangue per lavoratori e debitori, è infatti un “prendere o lasciare” che il comunicato stampa di Alitalia dopo il cda di oggi liquida in una sola riga: “L’amministratore delegato ha inoltre illustrato ai consiglieri lo stato delle relazioni con Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti”. Nel restante scarno comunicato anche “l’andamento economico gestionale dei primi mesi dell’anno, in miglioramento rispetto al 2013 ed in linea con le previsioni di piano”.
Dai consiglieri usciti di corsa dal brevissimo consiglio di oggi, 2 ore contro le giornate intere del passato, bocche assolutamente cucite. Ma si sa che di nodi da sciogliere sono diversi; dagli esuberi, fino a 3mila che Etihad non vuole gestire con cassa integrazione a rotazione o con contratti di solidarietà perché ciò influirebbe negativamente sulla produttività generale, ai debiti, per i quali secondo nostre fonti interne alle banche creditrici vedrebbero forti resistenze soprattutto dall’istituto guidato da Carlo Messina, per finire alle infrastrutture dove il governo dovrebeb fare molto: dall’alta velocità a Fiumicino, al ridimensionamento delle low cost fino allo sviluppo di Linate a scapito di Malpensa. Fiumicino di Adr, la società che gestisce gli scali romani ora in mano ad Atlantia, che secondo altre fonti vedrebbe entrare gli emiratini fino a un 20% del capitale.
Insomma un surplace quanto mai difficile. Agli arabi basta dare un golpo di gas e sparire all’orizzonte, magari a caccia di altre prede appetibili in Europa. La politica stand alone di Alitalia potrebbe durare ancora solo per pochi mesi. E poi il vettore si troverebbe di nuovo a pedalare. Chissà però verso quali lidi.