Il ritorno della Bad company. Come in un (brutto) B-movie americano anche per la vicenda Alitalia si tratterebbe, dopo cinque anni fallimentari dei Capitano coraggiosi, di ricorrere nuovamente allo scorporo di una parte di società, dove confluirebbero una parte dei debiti e gli esuberi, per dare in pasto quella parte di azienda agli emiratini di Etihad, che entrerebbero nel capitale per il 49% . Lo scrive Il Messaggero di Roma citando fonti industriali. Questo sarebbe il piano che l’ad, Gabriele del Torchio, e il presidente, Roberto Colaninno, di Alitalia porteranno lunedì ad Abu Dhabi e che hanno messo a punto dopo gli incontri con i sindacati e con le banche di ieri.
Ma vediamo la cronaca; ieri mattina dirigenti di Alitalia si sono incontrati con i sindacati a Fiumicino a cui avrebbero chiesto interventi su piloti, assistenti di volo e lavoratori di terra per ottenere ulteriori 48 milioni di risparmi, da aggiungersi agli 80 milioni assicurati dall’accordo di metà febbraio sulla gestione di 1900 esuberi, per raggiungere la quota di 128 milioni di euro previsti dal piano industriale “stand alone” alla voce costo del lavoro. Che l’azienda vorrebbe diminuire di 400 milioni invece dei 300 preventivati precedentemente.
Nel contempo Gabriele Del Torchio è volato a Milano dove l’aspettava una battaglia se possibile ancora più dura; convincere le Banche creditrici e i soci principali, tra cui appunto le banche stesse, a rinegoziare almeno la metà del debito, ormai salito a 565 milioni di euro (oltre ai 400 milioni inmmessi nel passato l’ultima tranche di 165 milioni versati per non far fallire la compagnia a inizio anno) . Ora il cerino è in mano alle Banche che dovranno decidere, come in una mano di poker, se rilanciare, e scommettere sul piano di sviluppo di Etihad e quindi convertire il debito in azioni (ulteriori per Intesa San Paolo e Unicredit, già azionisti al 20 e al 12% rispettivamente della compagnia) , oppure spingere per una decisione di compromesso. Che, però, comporterebbe almeno la metà dei debiti cancellati con un colpo di spugna. Intesa è forse quella che ci crede meno nell’operazione, tanto che nell’ultimo bilancio ha preventivamente svalutato di 35 milioni le quote senza nemmeno attendere i risultati operativi del vettore, facendo dire al consigliere delegato dell’istituto di Ca’de Sass Carlo Messina che “la banca ha un piano per dismettere tutte le partecipazioni non core”. Tra cui naturalmente poco ci azzecca una partecipazione industriale in un settore, come quello aeronautico, con margini, quando ci sono, non propriamente esaltanti. Gli altri due istituti creditrici, Mps e Popolare di Sondrio, si accoderebbero così alle decisioni dei due Big.
Incassati così gli ok di Banche e soci, naturalmente ieri erano della partita anche gli altri due grandi azionisti, Poste Italiane e Atlantia, toccherà ai due manager negoziare al caldo di Abu Dhabi con il ceo di Etihad James Hogan, e con il proprietario della compagnia emiratina, lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahayan. Ma la sensazione è che le trattative non si chiuderano subito. Trattative che sono come un gatto che si morde la coda e che vede nuovamente alla finestra il governo che, dopo aver paventato interventi che vanno verso le richieste degli emiratini, dice, per bocca del Ministro dei Trasporti Lupi sul possibile decreto di liberalizzazione delle tratte a Linate, “facciamo un passo per volta, prima vediamo se si chiude l’accordo tra Alitalia e Etihad”. Lo stesso succede con i sindacati: “Le misure proposte da Alitalia sulla riduzione del costo del lavoro non sono sostenibili e qualsiasi intervento diverso che fossimo in grado di individuare dovrà essere legato all’ingresso di Etihad” ha detto Marco Veneziani, Uilt Trasporti.