I dolori della giovane Uber

Ci siamo occupati spesso di Uber, insieme a società come Airbnb,  uno degli emblemi della sharing economy nel mondo (leggi Sharing economy: ricchezza o povertà?). Senza tralasciare i molti problemi etici e sociali, nonché fiscali, che si porta dietro (leggi ad esempio: Internet ci sta rubando il futuro (lavorativo)?). E proprio Uber è uno dei soggetti certamente positivi di questa nuova tipologia di economia che coinvolge molti cittadini (non per nulla ha raggiunto in cinque anni i dieci miliardi di fatturato, cifra che Facebook ha raggiunto solo nel suo decimo anno di attività), ma, nello stesso tempo, è un grosso fattore di frizione nei mercati dove è presente. Con le auto pubbliche naturalmente, in quanto osteggiata dai tassisti di mezzo mondo, ma anche per problemi normativi, di sicurezza e, in alcuni casi, anche per scontri con i suoi stessi autisti.

Ecco perché Silk, piattaforma statunitense specializzata nella realizzazione di mappe interattive basate su grossi database, ha realizzato uno studio (che è possibile trovare integralmente qui) dove si evince come la popolare app californiana parallelamente alla sua imponente crescita debba affrontare anche una serie di problematiche tra le più diverse. Secondo le statistiche riportate da Silk, Uber ha dovuto fronteggiare ben 41 nuovi grandi conflitti soltanto nel 2014, di cui 30 ancora in corso in tutto il mondo, da quell’unico caso riportato nel 2011. Le iniziative di garanti ed enti regolatori restano di gran lunga la causa principale dei provvedimenti anti-Uber, seguiti dalle sentenze della magistratura e dalle azioni intraprese dai tassisti.

Geograficamente sono proprio dove Uber è nato, ovvero gli Stati Uniti, a presentare il “conto” più salato, con 16 vertenze, seguiti dall’Europa con 11, tra cui diversi stop alla circolazione in paesi come Spagna, Francia e Olanda.Ma anche in Sudafrica Uber ha visto il sequestro di diverse “sue” auto, mentre in Australia, nel Queensland, Uber ha dovuto cessare l’attività perché in contrasto con la normativa dello Stato. Analogo destino per la società in Taiwan e Thailandia, dove il servizio è stato dichiarato illegale e messo al bando, mentre in Corea del Sud addirittura il ceo Travis Kalanick è stato incriminato dai procuratori di Seul.

 Ad oggi Uber è attiva in oltre 200 città nel mondo, per un totale di 53 Paesi serviti. La società è sbarcata anche in Italia in cinque città: Milano, Roma, Torino, Genova e Padova. Ed è la tanto volte contestata amministratrice delegato di Uber Italia, Benedetta Arese Lucini, a ripetere, quasi fosse una litania, anche al Corriere della Sera, che “Uber è un processo di innovazione che insiste su un settore storicamente chiuso. Quando l’innovazione arriva, il panorama muta e questo può creare apprensione in alcune categorie. Ma come emerso analizzando la domanda reale di corse, Uber è un servizio complementare a quello pubblico. Non a caso le richieste crescono di notte e nei week end, quando circolano meno autobus o è più difficile trovare un taxi libero”. E noi aggiungiamo durante la settimana della moda, il salone del mobile a Milano o…quando piove. Pioggia che ha tutti fa pensare quando il “governo sia ladro”. Che sia ladro non lo sappiamo, sappiamo solo che è mostruosamente in ritardo per quanto riguarda l’aspetto legislativo in questo settore, in quanto è regolato “da una legge che risale al 1992” sottolinea Lucini. Quando internet, e soprattutto le app, non si trovavano quasi neppure nei film di fantascienza.