Alitalia ha subito reagito alle accuse di scarsa sicurezza delle proprie divise e in una nota stampa precisa: “Le affermazioni di alcune organizzazioni sindacali sul rischio di infiammabilità delle nuove divise Alitalia sono gravi, non suffragate da alcun elemento concreto e perciò totalmente prive di fondamento. Le divise hanno superato tutti i test sul rischio infiammabilità e rispettano nel modo più rigoroso gli standard di sicurezza imposti dalle normative vigenti”
Per questo motivo la compagnia si riserva di procedere nelle sedi appropriate al fine di tutelare la propria immagine contro accuse che ritiene palesemente infondate.
A gettare benzina sul fuoco è arrivato però l’editoriale di Massimo Gramellini su La Stampa, intitolato “Alì Italia”, che invece punta il dito contro il presunto mandante delle divise, “la Etihad di Dubai”, azionista della compagnia (che in realtà ha sede ad Abu Dhabi). Gramellini considera infatti riferimenti alla cultura islamista il non voler lasciare neanche un centimetro di pelle scoperta: nell’editoriale le divise arrivano “direttamente da un incubo della Fallaci” e nel loro stile, prosegue il giornalista, si legge “la certificazione di cosa succede quando un bene italiano finisce nelle mani di una cultura che, quantomeno in materia di donne, si trova nelle condizioni più di prendere esempi che di imporne”.
In attesa che arrivino le versioni estive delle divise a smentire questa ricostruzione, e nel dubbio che le nuove siano fatte più di lana o più di acrilico, l’unica cosa sicura sembra essere che le hostess Alitalia per ora dovranno sopportare il caldo, mediatico e non.